mercoledì 7 settembre 2011

Ci salvi chi può: "Babylon A.D." - 2008


Mathieu Kassovitz: l’ho apprezzato. Vin Diesel: lo stimerò sempre, ho anche trovato bella una scena (solo una) di Missione tataBabylon A.D.: date le premesse, si poteva far di meglio.

Prologo. Il Vincenzino è lì col vocione fuori campo che te la conta su (“contare su” è un verbo frasale di chi risente di origini milanesi)su quanto fa cagare il mondo e su quante ne sa lui che è uno veramente grosso; mentre il Vin se la racconta, uno sguardo cala sulla terra dall’alto e dopo aver zoomato su un incrocio stradale fatto a crocifisso, te lo mostra penitente tra le fiamme che ti guarda male dicendoti, sempre fuori campo: «va’ lì come son bello mentre crepo: c’ho troppo stile!». Quello sguardo che cala dall’alto forse è proprio del Vin che è uscito dal corpo (e ce ne avrà messo di tempo l’anima a farsi largo tra tutti quei dorsali), forse è di Dio, forse di tutti e due, forse boh. Ti dici «cagata» ma aspetti di vedere che succede.

Inizio. Una volta che il Vin ti ha detto che sarà morto, comincia il film. Te lo vedi tipo in Bosnia vestito da militare hippoppettaro con un cappuccione che pare una canadese: prima cazzia uno che gli ha venduto una pistola  sgamuffa a 20 dollari, poi va a comperare un capretto e una cipolla, e si mette a mangiare da solo a casa sua. Non fai in tempo a notare il fatto che il capretto è diventato un coniglio e che Vin Diesel non conosce il concetto di soffritto che gli entra in casa - previa esplosione e taa-daah! – una manica di paramilitari serbi coi fucilozzi paura a laser puntato. Il Vin è seduto a tavola, ha di fronte il capretto-coniglio e HA GIA’ PREGATO, non si scompone. Poi fa il culo al capo dei paramilitari serbi. È troppo un mercenario grosso. Fino a qui (più o meno decimo minuto del film ma forse prima) va tutto bene: l’ambientazione e l’atmosfera sono fredde il giusto, lui è Vin Diesel che fa il mercenario, io son preso benissimo. Si capisce che il capretto si è raffreddato perché Toorop (nome ipergrosso che a Vin Diesel calza a pennello) è stato chiamato a fare il corriere per il mafiosazzo del luogo; altra chicca: il mafiosazzo del luogo è Gérard Depardieu, che qui è di un unto e di un bolso come solo pochi slavi sanno essere (non mi si accusi di razzismo, è una constatazione).

Chi è che scassa la minchia quando è pronto?!

Dicevo, noto lo slavismo, noto le fredde atmosfere balcaniche post terza guerra mondiale, il Vin è il Vin, quindi non voglio ascoltare i dialoghi, avvisaglie di un cedimento quasi completo che arriva di lì a poco: cedimento che ha le sembianze del contenuto del pacco. In pratica Toorop deve scarrozzarsi in sei giorni dalla Mongolia a New York un mamozio (o zavorra) composto da: Aurora, una cybermadonnina con le visioni che potrebbe avere trent’anni come quindici, cresciuta in serra in un monastero, e da Suor Rebecca, che l’accudisce, che je mena ai cattivoni e che fa il culo al Vin perché dice le parolacce. Da qui il film è tutto uguale a sé stesso e si alternano: madonnina che frigna, suora che si preoccupa, Toorop che s’incazza, e scene d’azione confusionarie ma fatte manco troppo male. Ma il film cola a picco, e da “discreto, vediamo” cala a “pacco”.

Si capisce che è un lavoro inespresso, un «vorrei ma non posso» per dirla con formule comuni o un «avrei voluto ma non me lo han fatto fare» per dirla con le parole di Kassovitz, che si è lamentato per i tagli eccessivi di montato (e di budget) e per le modifiche della sceneggiatura, aggiungendo anche un «pezzi di merda mi avete rovinato il film». Doveva essere una roba con dei contenuti, con religione e tecnologia, con eugenetica ed esplosioni, ambientata in un futuro che ha vissuto l’apocalisse ma ne aspetta un’altra, con gente che crepa di meschinità in babilonie sul Baltico, con i Noeliti, setta che si chiama come il natale e infatti ti crea la madonna in provetta per aspettare l’Avvento (che non si capisce come si paleserà, forse con loro che controllano il mondo come farebbe una Chiesa qualsiasi), con tante cose che potevano essere ottimi spunti e che invece  sanno di mal riuscito. Babylon A.D. è un mischione casinaro perché non riesce ad esprimersi, punto. Se vuoi provare a dire qualcosa, se scegli di fare una roba con dei contenuti, allora metticeli: gli abbozzi a metà non servono e non piacciono a nessuno. Kassovitz voleva fare l’action mistico-tecnologico, con scene d’azione inquadrate dall’alto e con la camera all’interno dell’azione per dare l’idea di uno sguardo privilegiato e superiore, esterno e allo stesso tempo interiore come solo il Barba (Dio) dicono possa avere: invece è una roba da “un paio di inquadrature dall’alto molto suggestive e via andare, se tu sei francese e vuoi fare il film d’arte con Vin Diesel attaccati a sta gran fava”. Ringraziamo la produzione.
Grazie.
Un altro problema sono i personaggi: va bene che il Vin è grosso e anche se tace ti riempie la scena col solo faccione, ma doveva avere più spazio; dato che è un mercenario disilluso che vive alla giornata in un mondo dove Dio non esiste e quindi bisogna crearlo in provetta, avrebbero fatto bene a far vedere quanto è ateo e tormentato. Pure Michelle Yeoh, suorina ammodo che quando le girano ti secca pure i truffoloni di due metri in un battito d’ali di farfalla, avrebbe meritato parentesi più ampie, solo per il fatto che è una donna iperaffascinante e che je mena, e perché è suora. A me l’immagine della suora ha sempre fatto ridere. Una suora col Super Liquidator mi fa ridere, una Fiat Punto verde che va a novanta all’ora coi finestrini aperti e quattro veli di suore che svolacchiano al suo interno mi fa schiantare, una suora che pesta – e con che stile - solo per 5 minuti in un film di un’ora e mezza mi fa girare i maroni. E intanto la madonnina-pacco sui quindici-trent’anni frigna e ha le visioni.

Babylon A.D. è balbuziente ma avvolto in una confezione affascinante: come già scritto, nonostante la presenza della madonnina con le visioni, quando si pigliano a pizze c’è casino ma se le danno il giusto, nel complesso c’è un buon ritmo e i tempi son calcolati bene, le ambientazioni da “1984 ma senza il grande fratello perché tanto siete poveracci e non ci frega un cazzo di  quel che fate” rendono un sacco, la storia del “ti guardo dall’alto e dopo un secondo sono in mezzo alle esplosioni” è una scelta a quanto pare abortita ma che paga, insomma stilisticamente non è male ma non si salva il salvabile. Perché tutto il resto è vuoto. A sforzarsi di trovare i lati positivi si scrivono quattro righe, e di quelle tre e mezzo le si occupa per fare i pirla. 
Una confezione affascinante.
Poi la ciliegina, che nell’economia della narrazione ci sta, ma che stride perché inusuale, e perché metafora di tutto l’andamento noia-azione-noia del film: la scena finale, quella dove succede il Gran Casino. Di per sé è fatta bene, potrebbe sembrare persino lievemente claustrofobica, loro tre braccati tra macchine parcheggiate che se la fuggono e sparano e pestano hanno molto senso se inquadrati dall’interno dell’azione (per il discorso di cui sopra), ma il tutto va nel cesso se è a venti minuti dalla fine: io son lì che mi faccio due maroni da un’ora perché ogni volta che c’è l’azione tu mi dimezzi l'entusiasmo con la madonnina che frigna e mi piazzi il climax così presto?! E poi?! Io i successivi minuti come li passo?! Sorbendomi tutte le cagate sbattute lì per far vedere che fine fanno persone viste per trenta secondi all’inizio mentre si fanno di botox?! Capisco che devi far vedere come si conclude il tutto, ma tanto se hai già stravolto a cazzo il significato del libro da cui è tratta la storia manda a puttane pure questo ma fai un finale degno di questo nome. Signora Longari, m’è caduta sullo spannung.

Sarebbe interessante vedere cosa veniva fuori se Kassovitz avesse fatto di testa sua: c’erano tante potenzialità ma ne è venuta fuori mezza. Peccato. Ma mi consolo pensando a questo: