domenica 2 ottobre 2011

Heavy metal goes medieval: “Ironclad” – 2011




C’è il metallo, c’è il sangue, ci sono gli inglesi panzoni, c’è la cruenza e c’è anche del finto anticlericalismo che oggi è molto fashion.

Resisti Frodo!
In breve: siamo più o meno nel 1200, a Re Giovanni Senza Terra gli gira il cazzo perché ha appena firmato la Magna Charta e decide che i baroni devono darsi una regolata. Con un miliardo di mercenari danesi, dei quali solo il capo è biondo, assedia la fortezza di Rochester che come tutti sanno è un baluardo, un caposaldo, un bastione, inespugnabile fortilizio, casamatta strategicamente imprescindibile per le sorti dell’Inghilterra meridionale. La fortezza è difesa da una compagnia dell’anello che fa capo al Barone Albany, da una dozzina di soldati che muoiono subito e da un templare supergrosso che le sa tutte (6 uomini di Albany + Albany + 12 soldati + templare supergrosso che dato che è il protagonista vale per 10 = 29 persone. Contro un miliardo di mercenari danesi di cui nessuno biondo). Loro resistono e Re Giovanni s’a pija ‘n der culo. Fine.

Date le premesse uno potrebbe serenamente pensare che Ironclad sia una merda. Io lo pensavo prima di vederlo, l’ho pensato mentre lo guardavo, e lo penso tuttora, ma con delle minime riserve. Perché se è vero che la trama è inesistente, la grezza medievalità  senza pretese salva parzialmente il film: qui si parla di un mondo popolato da buzzurri olimpici, la ricerca psicologica lascia volentieri il passo a personaggi tagliati con l’accetta che tagliano con l’accetta in un film brutale e freddamente realistico. In questo senso, fotografa bene l’idea dello zeitgeist (UOUOUOUOOOOOO!!! PAROLONE!) medievale, fatto di incertezze e attese spasmodiche della morte che sfociano in picchi di brutalità pesissima. E poi Paul Giamatti ci crede un casino. Fine delle cose belle.



Sono Semola e ci credo un botto
C’è il grezzume, e ne siamo lieti. Ma il grezzume che esplode in un mare di lentezza è apprezzabile se nel mare di lentezza succede qualcosa: va bene, questi poveracci sono assediati e stanno aspettando che gli venga addosso il miliardo di danesi non biondi. Ma in quasi due ore di film uno spera che, quando non si prendono a spadate, questi come minimo facciano rissa per decidere chi si mangia il cinghiale. In un film che ha come quote “Heavy metal goes medieval” tu non vuoi sentire discorsi sul pacifismo e sui voti di fede, né tantomeno vuoi vedere che uno che si chiama Jedediah (pronuncia Gededaaiaahh) e usa la scure per falciare i danesi al grido di "meglio calvo che biondo!" impari a scrivere il suo nome prima di morire. È una questione di saper raccontare. Ironclad è un film volutamente grezzo, e in questo riesce bene; ma un prodotto grezzo che deve sostenere l’attenzione per due ore o sceglie la via dell’action ipertrofico, o si trova a camminare su un filo sottilissimo che separa la suspense dalla noia. Qui il ritmo è lento, si capisce cosa il regista voglia mostrare, ma il tutto deve essere riempito di più. Il filo di cui sopra si rassottiglia e il buon Jonathan English si lancia in un triplo carpiato fosbury dal lato degli incudini sui maroni. Esempio: da poco ho visto Gente del Po, di Antonioni. Se qualcuno mi avesse chiesto: «tra un documentario degli anni ’50 sul brutto tempo e un film del 2011 con John Lackland che mozza mani e teste perché è incazzato nero col Barone Albany, secondo te qual è più noioso?» io mi sarei lanciato in powerslide eseguendo un assolo pensando a  Paul Giamatti coi capelli di Semola che sbraita e uccide e fa uccidere, per poi tuffarmi subitaneamente in un baratro di tedio recante le sembianze di una piroga del basso lombardo. Ma c’è un però: è vero che con le risaie e il brutto tempo mi ci solletico la fava, ma uno come Antonioni, che qualche filmetto l’ha fatto, riesce a coinvolgere lo spettatore facendo vedere una bimba malata che mangia il brodino. Jonathan English ha Gededaaiaahhhh con la scure, un templare monofaccia che ha fatto Solomon Kane e che qui è la versione Contourella di Fabio Volo con spadone alla Berserk annesso, Paul Giamatti/Semola e Brian Cox che urla «NOOOOOO SURRENDEEEER!», e rende tutto una noia mortale. Col cast che aveva a disposizione, un po’ più di studio dei personaggi non avrebbe fatto male, almeno avrebbero avuto qualcosa da dirsi.

Altre pecche: regia e fotografia. L’impressione di realismo è ancora una volta più zavorra che traino, finisce a far più danni che altro. Nel senso: se si vuole dare l’idea della concitazione in una battaglia non si deve muovere la macchina da presa a cazzo facendo venire il mal di mare, a quello ci ha già pensato quella merda di Lucignolo un po’ di anni fa; il ritmo della narrazione è brioso quanto una canzone di Amedeo Minghi. Per quanto riguarda la fotografia, sembra di vedere una di quelle belle serie anni ’90, tipo Simbad il marinaio o Xena. Non c’è il sottotesto saffico, ma almeno non vengono usati né CGI né orchetti di gomma, al massimo un bel po’ di pomodoro. Comunque non è un bell’andare, Lucy Lawless avrebbe innalzato ad imperitura memoria il livello intellettuale dell’opera. Peccato.



Spadone don't text
In questo quadro fatto di finto realismo e vera noia c’è pure il fastidio di vedere James Purefoy col musone sofferente perché ha promesso cose che non poteva mantenere: ha fatto voti di silenzio e castità, ma dopo anni ha cacciato fuori sia la favella che la fava, e ne soffre. Questo vive in mezzo ai preti ed è passato dalle crociate ad essere assediato in un castello popolato da una ventina di brutt’uomi e da due donne. Non parla e non scopa da anni. Alla dama del castello piace tanto fare quello, ma al re suo marito piacciono le pannocchie, se per gran turco s’intende un cittadino di Costantinopoli con problemi di gigantismo al fringuello. Lei è casta e frustrata, e l’occasione fa l’uomo ladro: il buon James da duro e puro che era rimane solo duro, non resiste, si fa convincere dalla regina a giocare al cerusico (siamo nel medioevo). Adesso: ci si può volere bene e ci si racconta che l’amore è più forte di qualsiasi fede, oppure si è onesti e si nota che oggi, nei film di spadate, va di moda che il paladino del cristianesimo si ribelli contro il sistema che l’ha generato, operando comunque una scelta dolorosa (a cui non crede nessuno - L’ultimo dei templari docet). Se è doloroso schiacciarsi la regina venticinquenne dopo anni che svelli teste e non vedi una passera neppure col cannocchiale, io prendo quel poco che ho detto di buono del film e mi ci netto lo sfintere. Va bene che sono pirla ma se mi prendete per il culo me ne accorgo.

Se volere essere realistici significa fare aspettare le mezzore per vedere qualcuno che smette di frignare e comincia a menar sordo, non va bene ma è una scelta. Se si fa questo e poi si manda in vacca tutto perché ci deve essere il finale buonista con momenti verità in cui tutti si dichiarano, me lo dicevate prima che così recensivo la De Filippi, tanto lì si scannano uguale.