In un'epoca di incertezze e decadenza, un contributo da un intenditore che ha deciso di porre la propria anima al servizio di una causa forse non giusta, forse non condivisibile, ma assolutamente giusta e condivisibile.
Qui non si tratta di fare critica, di giudicare cosa è bello e cosa è brutto, di vedere cosa funziona e cosa invece costituisce un problema. Qui non si usa il cervello, perché darebbe risposte troppo diverse da quelle del cuore, e farebbe male.
La nostra generazione è nata a cavallo tra gli anni '80 e i primi '90: riflettendoci, l'inizio della fine. I film di quel periodo ci hanno accompagnati e cresciuti, seguendo un meccanismo forse prestabilito, comunque finendo per costituire un bagaglio, creando un'identità. Noi ventenni - trentenni di oggi affrontiamo il mondo consapevoli di essere la generazione di confine, che usa internet ricordando le VHS, che grazie alla televisione ha cominciato con Bud Spencer, ha continuato con quel meraviglioso vortice delle produzioni action anni '80 per arrivare ad oggi, forse il risultato di quel tipo di cinema e televisione, un oggi dominato da forme spettacolari prive di contenuti che puntano all'appiattimento intellettuale e all'uccisione della fantasia.
Ed il punto è proprio questo: la consapevolezza. Chi ha seguito questo tipo di percorso sa cosa prendere da quei film che tanto fanno ridere le persone che li vedono per la prima volta. Qui non si tratta di pretendere che i film di Van Damme abbiano dei contenuti intellettualmente artistici, tutti sanno che un film con Stallone non parlerà mai della transustanziazione dell'anima, tutti sanno giudicare senza sapere di cosa stanno parlando. Chi è cresciuto con questi personaggi invece alla trecentesima volta che rivede lo stesso film prova le stesse emozioni della prima, perché riesce a filtrarne solo il bello, perché ne è troppo affezionata, perché riguardare certi film è come riguardare una foto di famiglia, con emozioni e ricordi annessi.
Da questo punto di vista, niente separa Rocky Balboa da Paolino Paperino.
Una cosa mi ha sempre dato da pensare: conosco tante persone che hanno la mia stessa passione per questo genere di film (e l'articolo che segue ne è dimostrazione) e che allo stesso tempo sono convinte di quanto siano sbagliati i messaggi che può mandare un Rambo III qualsiasi, ma comunque continuano a parlarne con lo stesso entusiasmo di quando si era bambini. Un motivo c'è, e lo leggerete meglio in queste pagine.
Come ho detto all'inizio, è solo una questione di cuore.
Ma la terra con cui hai diviso il freddo mai più potrai fare a meno di amarla
V. Majakovskij
ROCKY BALBOA: IL CUORE DI SYLVESTER STALLONE di Marco Cullorà
Questo speciale sulla
figura di Sylvester Stallone e sul suo personaggio Rocky Balboa non ha
l’obiettivo di convertire sulla via di Damasco chi lo reputa una presenza
inutile nel panorama cinematografico. Non è per questo che l’ho scritto, non ho
bisogno di convincere nessuno sulla presunta bontà dei suoi film. Allora
qualcuno di voi si chiederà perché l’ho fatto, perché ho sprecato il mio tempo
per un attore che è stato nominato dai Razzie Awards come il peggior attore del
XX secolo. Prima che riesca a rispondere, vi direte che l’ho fatto o per esser
controcorrente sul cinema attuale o perché non ho niente da fare e sono in
cerca dei miei 15 minuti di gloria da provocatore.
Nessuna delle due, vi
sentite sempre in dovere di generare pensieri troppo complessi. L’ho fatto prima
di tutto per elogiare il mio attore preferito di sempre e la sua opera più
riuscita. L’altro motivo centrale è che ho voluto mettere in tavola quello che
il fan medio di Stallone vede nei suoi film, che va oltre il concetto
dell’aggettivo tamarro. Pazzia e coraggio sono le due caratteristiche
necessarie per lanciarsi in difesa di Sly, ma è il cuore che comanda le mie
mani, non la razionalità del cervello.
Se siete fan di Sylvester
Stallone potreste essere d’accordo con quello che ho scritto, potreste
commuovervi ripensando a tutte le volte che avete visto Rocky. Se non siete fan
di Sylvester Stallone, ma volete andare oltre il numero di 2 stellette su 5 che
gli assegna MyMovies, allora vi guiderò nel percorso delle emozioni che Rocky ha suscitato e che continua a suscitare in me e in tutte le persone che hanno
seguito la sua storia.
“Nessun
cazzo è duro quanto quello della vita.” (John Giorno)
Sylvester Stallone non è
uno di quegli attori eclettici di adesso, capaci di saltare da un filone all’altro
con grande disinvoltura. Non è un attore incensato dalla critica, che quando ha
potuto l’ha massacrato senza esitazioni. Non è portato per i grandi ruoli
drammatici o per film da annoiati intellettuali sul divano. Stallone non è
niente di tutto questo, ma rientra in una categoria in via d’estinzione, che
potremmo paragonarla all’unico villaggio gallico, quello di Asterix e Obelix,
che resiste tenacemente agli attacchi di conquista dell’impero romano. Una
categoria tenuta in piedi da attori altrettanto vecchi come lui: gli attori che
hanno una sola espressione e che sanno fare un solo genere di film, ripetendolo
in molte forme diverse. La sua carriera cinematografica è composta da circa una
quarantina di film, in cui Sly ha interpretato anche i ruoli più disparati: il
giocatore di poker in Shade - Carta
vincente, il pilota di Indy car in Driven,
il sindacalista in F.I.S.T..
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American Semi-gods |
Questi sono tre esempi,
perché di suoi ruoli atipici ce ne sono ancora, ma in tanti film Stallone ha
rappresentato la parabola delle difficoltà che la vita ci pone quotidianamente,
la forza di volontà per non soccombere di fronte a nulla, la voglia di
rivincita contro una società ingiusta e corrotta.
Questa morale è il perno
della saga di Rocky, che ha
proiettato Stallone all’olimpo di Hollywood e allo status di semi-dio nella
metà degli anni ‘80 e l’ha ributtato a terra anni dopo, perché il tempo si
riprende tutta la gloria vissuta e allora non ne resta che il ricordo.
Prima della nascita di Rocky, datata 1976, Stallone aveva
all’attivo qualche comparsata non accreditata e un paio di film da
protagonista, senza però emergere da quel sottobosco di attori esordienti che
senza l’occasione della vita rimangono tali per tutta la loro carriera. Il suo
limite era principalmente la struttura del fisico, che gli permetteva solamente
di poter fare ruoli pre-fabbricati da duro.
Il fisico è il suo limite
principale, ma ce ne sono altri quattro di grande importanza:
- La monoespressività del
suo volto, indecifrabile. Questo quando era giovane, perché negli anni recenti
il botox ha reso il volto del nostro Sly un autentico mistero. Dove sono finite
le sue emozioni? Come facciamo a capire quando Sly è triste o felice? È come
giocare a Cluedo, serve una buona dose di logica ed intuizione.
- Il linguaggio, poco
udibile quando era un adone, ormai biascicato con l’età. Si dice che niente sia
impossibile tranne l’uomo gravido (a questo innanzitutto c’ha pensato
Schwarzenegger con il film Junior),
ma la seconda cosa impossibile da fare nella vita è guardare un film di
Stallone in lingua originale, senza sottotitoli. Non ce la farete mai, nemmeno
un laureato in lingue potrebbe cavare qualcosa da quella bocca.
- La bocca storta con il
labbro a virgola, dovuto a una paresi sul lato facciale sinistro quando era
bambino. Questa caratteristica, unica nel suo genere, c’ha dato tanta letizia nei
suoi film. Ci sono punti massimi di espressione in almeno quattro scene chiave:
1) l’espressione del dolore
negli incontri di braccio di ferro in Over
The Top (un film sentimentale sul braccio di ferro, solo Sly poteva farlo),
soprattutto nella scena della rivincita contro John Grizzly.
2) La scena del rigore in Fuga per la vittoria, con il primo
piano a rallentatore impossibile non notare lo sforzo recitativo del labbro
virgolone.
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Icona, punto. Anzi, virgola. |
3) La scena
dell’allenamento di Rocky IV mentre
traina lo slittino con sopra il cognato e la legna con i legacci legati sulle
spalle; anche lì un primo piano sulla faccia determinata di Sly con il labbro
in prima fila.
4) Il grido «menzogna!» in Dredd - La legge sono io. Ora, riguardatevi questa scena più volte,
fate il ferma immagine sul primo piano di Sly quando urla, prendete l’immagine
e mettetevela nel profilo Facebook, o su Msn o su Skype. Quando l’avrete fatto,
i vostri ipotetici complessi di inferiorità svaniranno in un attimo, verrete
premiati solo per il coraggio di aver messo una foto di Stallone invece di
quella di Johnny Depp o di Heath Ledger, ma non una foto qualunque, la foto del
labbro virgolone.
- La deambulazione, l’incapacità
di correre piegando le ginocchia. Questo problema si è accentuato negli anni
’90, da Demolition Man, per
raggiungere l’apice nella leggendaria scena della corsa di The Expendables, in cui Stallone non solo compie una fatica immonda
a correre, ma storta anche la bocca come non si vedeva dai bei tempi andati.
Nonostante questi piccoli
difetti fisici, che noi irriducibili fans amiamo e difendiamo strenuamente
dalle malelingue intellettuali, Stallone ha lasciato una traccia indelebile nel
cinema d’azione. I suoi film l’hanno reso un pilastro di un filone che negli
anni ’80 ha dominato il cinema americano e ha creato personaggi esportati in
tutto il mondo, come Rambo, Axel Foley, T-800, John McClane, la coppia Riggs -
Murtaugh (ce ne sono tanti altri ma mi fermo qui) e ha costruito film con trame
riassumibili in una o al massimo due righe.
Stallone però non è stato
e non è solo la personificazione di personaggi come Rambo o Cobra, autentiche
macchine da guerra invincibili, capaci di abbattere elicotteri a suon di
frecce, distruggere interi eserciti da soli, ripulire una città dal terrorismo
con solo l’uso di una pistola, una bomba a mano e un mitra. Spesso ha
rappresentato il personaggio positivo per eccellenza, quella sorta di vecchio
padre spirituale senza cappuccio che dispensa lezioni di vita. Rocky è senza
dubbio il personaggio più riuscito sul versante della positività e sulla
metafora morale delle difficoltà di tutti i giorni.
Rocky Balboa - The Great
Challenger
I sei film della saga di Rocky rappresentano l’ascesa e il
declino di un uomo comune, di un emarginato che arrivato alle stelle con il
titolo mondiale, cade sul lastrico e risale lentamente, ma è soprattutto la
rappresentazione della vita di Sylvester Stallone, fra gli alti degli anni ’80
e i bassi del fine secolo e inizio del nuovo millennio.
Rocky Balboa è l’alterego artistico
di Sylvester Stallone (la differenza fra i due è solo in ambito lavorativo e sentimentale),
nel corso della saga le tappe che ha percorso Rocky, dalle stalle come bullo
emarginato di periferia nel I film alle stelle come campione mondiale dei pesi
massimi nei successivi tre film e, nel quinto, di nuovo caduto in disgrazia,
rappresentano le tappe artistiche che ha vissuto Stallone, da attore che
vivacchiava di comparse e di ruoli da protagonista in film di seconda
categoria, a divo hollywoodiano nella metà degli anni ’80 che poteva
permettersi di rifiutare ruoli che hanno poi fatto la fortuna di altri suoi
colleghi, fino al progressivo declino degli anni ’90 e la presunta fine nel
nuovo millennio.
Tutto però ha un suo
equilibrio, perché una saga intera non può reggersi su un solo personaggio, per
quanto poetico possa essere. Nella nostra vita orbitano tante persone, tanti
affetti ed è attraverso questi che nascono i ricordi, belli o brutti che siano.
Stallone non è uno sprovveduto, sapeva che da solo non sarebbe mai riuscito a
far decollare una storia destinata a durare anni e per questo si è circondato
di straordinari attori, che hanno calzato alla perfezione i personaggi
secondari della saga. Tre di questi hanno un’importanza centrale:
1) Adriana (Talia Shire):
compagna di vita di Rocky e sorella di Paulie. Nel primo film è una ragazza
ancora più emarginata di Rocky, rinchiusa nel negozio di animali dove lavora
con i suoi amici canarini e il cane Birillo a farle compagnia. La pessima
montatura dei suoi occhiali nasconde i suoi occhi espressivi, devastanti,
quegli occhi che per vederli ti serve la preparazione psicologica, ma ci rimani
sotto lo stesso; la sua grande timidezza si nasconde una ragazza intelligente
ma insicura perché vittima del fratello Paulie.
Un fragile fiore che si
veste da vecchia perché non si sente attraente e non ha una vita sociale per
restare accanto al fratello, ma il grande amore per Rocky la cambierà
progressivamente, facendo emergere la sua personalità e la forza di cui Rocky
ha bisogno. Citazione chiave: «Ogni colpo che tu hai subito, io l’ho subito insieme a
te».
Godzilla VS. King Kong |
2) Paulie (Burt Young): è
più di un migliore amico per Rocky, è un fratello. Perennemente attaccato alla
bottiglia, lavora inizialmente nel deposito carni, poi rimane disoccupato e
inizia a seguire Rocky negli allenamenti. Le sue emozioni sono un vortice incontrollabile,
passano dall’estremità del bene all’estremità del male. Da un lato mostra una
grande umanità: in più di un incontro bacia fraternamente il suo amico e lo
sostiene all’angolo del ring, ma dall’altro è capace di furenti attacchi d’ira,
con tentate aggressioni sempre ai danni di Rocky. Nonostante tutto c’è sempre
ed è questo l’importante. Citazione chiave: «Se dovessi cambiar pelle ed entrare in quella
di un altro…hai un gran cuore Rocky!»
3) Mickey (Burgess
Meredith): lo ammetto, è il mio personaggio preferito. Primo e indimenticabile
manager di Rocky, un vecchio ex pugile a pezzi che gestisce una palestra
disastrata a Philadelphia. Lascia tutto per diventare il manager di Rocky e
allenarlo per l’incontro con il campione dei pesi massimi. È un burbero dal
cuore d’oro, uno stratega di esperienza che dispensa grandi consigli, il
motivatore che tutti noi vorremmo in ogni momento topico della nostra vita,
l’angelo custode che ti urla «ancora un altro round, non ho sentito la campana!». Il rapporto che ha con Rocky diventa quello di un
manager/padre severo ma amorevole, che allenerà e sosterrà il suo pupillo fino
alla fine. Purtroppo ci lascerà troppo presto, ma tornerà sottoforma di
flashback malinconico. Citazione chiave: «Devi mangiare saette e cacare fulmini!»
I cambiamenti di vita di
Stallone, da quando ha iniziato la sua ascesa, fino all’apice, riflettono
quelli del suo personaggio. Rocky caratterialmente non è sempre stato il
tontolone bonario di cui ci siamo innamorati nei primi due capitoli: le vittorie
e il titolo di campione hanno consolidato le sue certezze, lo hanno reso
spavaldo nell’atteggiamento e nel look: nel terzo (1982) e quarto film (1985) è
tirato a lucido, sempre ben vestito, rispetto ai vestiti da mercato e al
cappello che aveva nei primi due film.
Adriana, da bellezza
nascosta nel primo film, è diventata una bellona raffinata nel terzo e nel
quarto; addirittura Paulie è sembrato una persona normale in diverse occasioni.
L’emblema della sua trasformazione è nel terzo capitolo del film, quando di
notte urla ai barboni in strada di far silenzio, perché disturbano il suo
sonno. E le colonne sonore? Nei primi due capitoli sono sobrie e orchestrali,
ma con la trasformazione di Rocky si trasformano anche loro e allora pompa a
manetta l’hard rock dei Survivor, di Robert Tepper e di tante altre meteore
cotonate degli anni ’80.
Soltanto il quinto
capitolo (1990) riporterà Rocky, ridotto al lastrico, alla sua precedente
dimensione. Il bullo di periferia ritorna a Philadelphia, riprende i suoi vecchi
vestiti, diventa titolare della palestra di Mickey, sotto un tappeto di
malinconia che pervade in tutto il film e che invecchia Stallone di 10 anni.
Rocky Balboa (2006)
Questa è una doverosa
premessa iniziale per arrivare al film a cui voglio dare attenzione: Rocky Balboa, l’ultimo episodio della
saga.
Dopo Rocky V il buon Sly aveva categoricamente escluso la possibilità di
un ulteriore sequel della saga, convinto che il suo personaggio avesse chiuso
un cerchio. Ma sono cambiate molte cose in 16 anni, il periodo di tempo fra Rocky V e Rocky Balboa. Innanzitutto il declino dei film d’azione e l’ascesa
dei thriller e della commedia. Lo stesso Stallone si è cimentato in due
commedie carine ma deludenti dal punto di vista economico: Oscar, un fidanzato per due figlie e Fermati o mamma spara!. I suoi anni ’90 sono formati da buoni film,
come Demolition Man, Cliffhanger, Dredd - La legge sono io
ma il declino di Stallone come attore è progressivo e inesorabile, come la fine
del XX secolo.
Gli anni ’00 sono il punto
più basso: Stallone lavora poco e in film non all’altezza, la sua popolarità è
in ribasso e i produttori non lo vogliono più, convinti che abbia ormai dato il
suo tempo. Sly si deprime, rimane inattivo per 3 anni, dal 2003 fino al 2006,
conduce saltuariamente il reality The
Contender sulla boxe e per rimanere giovane si riempie di botox in faccia,
riducendo un’espressività facciale già bassa di suo.
Dentro di sé però sente
ancora di poter sparare le sue cartucce di non esser finito come gli fanno
credere. Ma come rilanciare può rilanciare la propria immagine? La risposta la
trova in nuovo capitolo di Rocky.
Una volta deciso, Stallone
si mette all’opera. Un one man show del cinema: scrive la sceneggiatura, si
carica sulle spalle la responsabilità di produrre e di dirigere il film,
rischiando in prima persona la conseguenza di un possibile fallimento.
Se avesse rischiato negli
anni ’80, non avrebbe riscontrato nessun tipo di problema, ma siamo nel 2006 e
questa domanda serve per dare al film un valore ancora più alto: chi fra i
grandi vecchi nel nuovo millennio
avrebbe rischiato di mettere in tavola un ennesimo sequel, mettendo mano anche
a una parte dei finanziamenti? Nessuno. In quell’anno alcuni dei nostri eroi
degli anni ’80 avevano già cambiato rotta: Schwarzenegger si è rifugiato nel
suo posto da governatore della California, inadatto a fare altri ruoli che non
siano quelli dello spaccaossa, perché una volta che l’hai visto incinto nel
film Junior, cambia ogni tua
prospettiva sull’uomo che ha fatto Conan
il barbaro. Bruce Willis, il più flessibile di tutti, ha saltellato in
continuazione dai film drammatici ai thriller sentimentali, polizieschi sul
filo dell’ironia e fumetti riprodotti sul grande schermo, con risultati alterni.
Steven Seagal, Dolph Lundgren e Jean Claude Van Damme hanno continuato con le
sparatorie, le esplosioni e i cazzotti, ma sono finiti ancora peggio, recitando
(ahahahahaha) nei film home video, ovvero quei film che vengono trasmessi direttamente
in tv.
Quando viene annunciato un
sesto capitolo di Rocky, le quotazioni di Sly ricominciano a salire, si crea
l’attesa per il film (io stesso l’ho atteso come la resurrezione di Cristo) e
l’industria cinematografica decide l’azzardo e lascia carta bianca a Stallone.
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Come hai detto?! |
Questo è tutto quello che
dovete sapere a livello di trama, perché in Rocky Balboa non è importante né che lavoro faccia Rocky (va bene,
ha aperto un ristorante di nome “Adrian” contenti?) né come arriva all’incontro
e se lo vince; fanno parte di una base strutturale che permette al personaggio
di esprimere la sua malinconia per i tempi andati, la crisi di mezza età,
l’insoddisfazione per un lavoro che gli piace ma che in fondo non è il suo
lavoro. In questo film c’è il Rocky di cui ci siamo innamorati:
- Il Rocky generoso che
appena si alza la mattina sfama Tarta e Ruga, le sue tartarughe, e i canarini nella
sua gabbietta.
- Il Rocky un po’ suonato
che ogni sera ai suoi clienti racconta sempre dei suoi incontri e lo racconta
1, 10, 100, 1000 volte perché quei momenti gli ricordano quando dentro di sé
aveva una forza indomabile.
- Il Rocky padre
spirituale che dispensa lezioni di vita al figlio, che lo accusa di metterlo in
ombra col cognome («né io, né tu, nessuno può
colpire duro come fa la vita. Non è importante quanto colpisci forte, ma quanto
incassi e quanto sai resistere ai colpi e se cadi hai la forza di rialzarti,
così sei un vincente!»).
- Il Rocky paziente che
sopporta le sbarellate del cognato Paulie e ogni sera dà da mangiare a Spider
Rico (ve lo ricordate? Il primo avversario in assoluto che si vede nelle scene
iniziali di Rocky!).
- Il Rocky “atleta” che
beve le uova la mattina, si allena duramente per aumentare la potenza dei
pugni, che per un’ultima volta sale la scalinata, sotto le note del leggendario
tema “Gonna Fly Now” di Bill Conti.
- Il Rocky con un gran
cuore sul ring, che resiste ai colpi dello sbarbato e che le dà con tutta la
forza che ha in corpo.
Questi 102 minuti di
malinconia sono tutto questo e altro ancora, riflettono sempre la vita di
Stallone, la sua volontà di sentirsi vivo e di non darsi per spacciato. A 60
anni sia Rocky che Sly sono uomini che hanno smesso di ascoltare i giudizi
critici di chi li stronca con grande facilità. Uomini che hanno ancora dentro
di sé una bestia di cui vogliono liberarsi per non aver rimpianti.
Stallone ricomincia da Rocky Balboa, che non è un capolavoro
come il primo, ma tanto basta per riconquistare il cuore di tutti, perché
costruire scene malinconiche sui bei tempi andati con la tecnica del flashback
è la sua specialità; perché in quel pugile vediamo noi stessi, in cerca di
realizzare un sogno, di avere una possibilità e di giocarcela al massimo, come
ha sempre fatto Rocky. Che cosa voleva dirci Stallone con questi sei film? Che
la cosa più difficile da accettare per un uomo è quella di non aver realizzato
i propri sogni, perché la vita va inesorabilmente avanti e ci trascina con lei,
volenti o nolenti. Un momento sei felice, un altro ancora sei a terra, ma
l’importante è resistere e rialzarsi sempre quando si cade.
Rocky Balboa
ha rilanciato l’immagine di Stallone, che ha ripreso a lavorare a pieno ritmo,
realizzando il quarto capitolo di Rambo, John
Rambo, e il film The Expendables,
l’unico film nel 2011 che potrebbe esser stato fatto nel 1985. Tuttavia Sly in
questo decennio è entrato al suo ultimo round, sta sparando le sue ultime
cartucce di personaggio positivo che prende la rivincita col mondo. A 65 anni
si conserva ancora bene fisicamente ma non potrà andare avanti a lungo, anzi
già in John Rambo e in The Expendables è un personaggio fuori
tempo, ridicolo anche per certi aspetti, ma lui ci crede in quello che fa, va
avanti per amore della sua arte e per amore di chi ancora lo segue,
fregandosene delle critiche.
Oltre il mito, un semplice
uomo
Il sesto capitolo di Rocky ha incassato 85 milioni di
dollari in tutto il mondo. La saga complessivamente ha incassato circa un
miliardo di dollari. Cifre imponenti, ma non solo queste che ne determinano la
grandezza e il successo che ha avuto fra il pubblico; Rocky è conosciuto ovunque, la statua di bronzo preparata per il
terzo film è stata per anni in cima ai famosi scalini del “Museum Of Art” di
Philadelphia, quegli scalini che tanta gente percorre per sentirsi un po’ come
Rocky. Addirittura il personaggio è stato inserito nella Hall of fame del
pugilato, per il contributo che ha dato a questo sport.
Tutta questa
manifestazione di affetto fa sorgere spontaneamente una domanda: qual è il
fascino di Rocky? Perché la gente si identifica in lui e non in qualche altro
duro hollywoodiano? Perché Rocky è un uomo prima ancora di essere un campione,
con le sue debolezze e con le sue paure. È un uomo sul ring, quando scatena la
violenza che alberga dentro di lui, ma ha paura di quello che potrebbe
succedergli, di non poter più svegliarsi accanto alla donna che ama, di non
poter più rivedere il figlio amato; per questo motivo prega all’angolo prima di
combattere e superare ancora una volta i suoi limiti.
La gente ama il suo
carattere espansivo e tontolone, il corteggiamento nei confronti di Adriana con
delle battute bruttissime tutti i giorni al negozio di animali, dove lavora la
ragazza; il discorso che fa alla piccola Mary sul fatto che deve essere una
ragazza perbene e non frequentare cattive compagnie, la consapevolezza che è un
debuttante e non può vincere contro il campione dei pesi massimi, ma vuole
resistere e dimostrare a se stesso di non essere un fallimento, il coraggio e
la determinazione che ci mette quando sale sul ring, anche se non è sicuro di
farcela.
La vittoria morale, la
gloria per aver perso a testa alta, la necessità di provarci sempre per non
aver rimpianti, spesso sembrano parole buttate nel vento per consolare
qualcuno, ma nei film di Rocky assumono lo stesso valore della vittoria di un
titolo mondiale.
Ma un grande protagonista
è tale solo se ha dei grandi antagonisti a cui opporsi e in questo gli
avversari di Rocky sono impeccabili. In ogni film il punto centrale è lo
svantaggio di Rocky davanti ai suoi avversari, sempre più forti, più agguerriti
e più violenti.
Apollo Creed (I-II film),
Clubber Lang (III), Ivan Drago (IV), Tommy Gunn (V) e Mason Dixon (Rocky Balboa) sono avversari
tecnicamente più forti e devastanti di Rocky, ma la loro qualità più grande è
quella di tirare fuori al protagonista delle caratteristiche che non pensava
nemmeno di avere: quella forza e quel coraggio che lo fanno andare oltre alle
sue reali capacità, che gli permettono di restare in piedi e di incassare colpi
su colpi. Gli incontri dei film di Rocky sono privi di qualsiasi tattica e di
studio dell’avversario, sono massacri che logorano anche a livello psicologico,
rappresentano la metafora della lotta continua contro le difficoltà quotidiane
di tutti i giorni, la resistenza che bisogna avere per uscirne con meno ossa
rotte possibili, la forza di volontà per superare un ostacolo e andare avanti,
preparandosene a uno nuovo e ancora più difficile.
Non è retorica, è solo una
semplice metafora morale della vita. Per questo motivo non si può archiviare Rocky come un semplice film sportivo,
ma va inquadrato in una tavolozza dai tanti colori, dal rosso della storia
d’amore fra Rocky e Adriana al nero di quando il campione è in difficoltà e
cerca dentro di sé la forza di rialzarsi.
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Non so ballare. E allora? |
Tutti con Stallone si sentono
critici cinematografici: da chi si è fatto due palle così con i film di registi
visionari e non lo ammetterà mai, perché se non guardi quei film ti bollano
come quello che di cinema non ci capisce un cazzo, a chi effettivamente non ha
mai visto un film di Stallone o non l’ha mai visto con un occhio diverso che
non sia quello del «vabbè è una tamarrata». Però sono proprio queste critiche che rendono
Stallone, Willis, Schwarzenegger dei personaggi indelebili, perché nel bene o
nel male ci sarà sempre qualcuno che ne parlerà e i film d’azione riassunti in
una riga sono come il gusto del tempo andato, rendono tutti amici.
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Parametro reale di bellezza assoluta |
Non abbiamo certamente
bisogno di Rocky, di Rambo (il primo), di Over The Top per sapere che la vita è
dura e ci mette davanti ostacoli continui e Stallone non è certo un maestro di
vita esemplare, ma quando dimenticheremo che dentro di noi abbiamo una forza
indomabile, potremo sentire la voce di Mickey che ci dice «Non ti può battere,
perché tu sei uno schiacciasassi!» E questo, ancora una
volta, lo dobbiamo alla semplicità e al cuore di Sly.
Fin quando Stallone
riuscirà a correre senza piegare le ginocchia, stortare la bocca col labbro a
virgola e fare battute ironiche come quella al pelato Steve Austin: «Chi ti manda?» «Il tuo parrucchiere!» lo guarderò come ho sempre
fatto, perché al cinema vale una sola regola. Esagerare.