lunedì 3 ottobre 2011

Oltre il mito un semplice uomo. Apologia di un'icona.

 Prefazione di chi gestisce l'ebdomadario


In un'epoca di incertezze e decadenza, un contributo da un intenditore che ha deciso di porre la propria anima al servizio di una causa forse non giusta, forse non condivisibile, ma assolutamente giusta e condivisibile. 
Qui non si tratta di fare critica, di giudicare cosa è bello e cosa è brutto, di vedere cosa funziona e cosa invece costituisce un problema. Qui non si usa il cervello, perché darebbe risposte troppo diverse da quelle del cuore, e farebbe male. 


La nostra generazione è nata  a cavallo tra gli anni '80 e i primi '90: riflettendoci, l'inizio della fine. I film di quel periodo ci hanno accompagnati e cresciuti, seguendo un meccanismo forse prestabilito, comunque finendo per costituire un bagaglio, creando un'identità. Noi ventenni - trentenni di oggi affrontiamo il mondo consapevoli di essere la generazione di confine, che usa internet ricordando le VHS,  che grazie alla televisione ha cominciato con Bud Spencer, ha continuato con quel meraviglioso vortice delle produzioni action anni '80 per arrivare ad oggi, forse il  risultato di quel tipo di cinema e televisione, un oggi dominato da forme spettacolari prive di contenuti che puntano all'appiattimento intellettuale e all'uccisione della fantasia. 


Ed il punto è proprio questo: la consapevolezza. Chi ha seguito questo tipo di percorso sa cosa prendere da quei film che tanto fanno ridere le persone che li vedono per la prima volta. Qui non si tratta di pretendere che i film di Van Damme abbiano dei contenuti intellettualmente artistici, tutti sanno che un film con Stallone non parlerà mai della transustanziazione dell'anima, tutti sanno giudicare senza sapere di cosa stanno parlando. Chi è cresciuto con questi personaggi invece alla trecentesima volta che rivede lo stesso film prova le stesse emozioni della prima, perché riesce a filtrarne solo il bello, perché ne è troppo affezionata, perché riguardare certi film è come riguardare una foto di famiglia, con emozioni e ricordi annessi. 
Da questo punto di vista, niente separa Rocky Balboa da Paolino Paperino. 


Una cosa mi ha sempre dato da pensare: conosco tante persone che hanno la mia stessa passione per questo genere di film (e l'articolo che segue ne è dimostrazione) e che allo stesso tempo sono convinte di quanto siano sbagliati i messaggi che può mandare un Rambo III qualsiasi, ma comunque continuano a parlarne con lo stesso entusiasmo di quando si era bambini. Un motivo c'è, e lo leggerete meglio in queste pagine.
Come ho detto all'inizio, è solo una questione di cuore.


Ma la terra con cui hai diviso il freddo mai più potrai fare a meno di amarla  
V. Majakovskij
                                                                                                                              


ROCKY BALBOA: IL CUORE DI SYLVESTER STALLONE di Marco Cullorà

Questo speciale sulla figura di Sylvester Stallone e sul suo personaggio Rocky Balboa non ha l’obiettivo di convertire sulla via di Damasco chi lo reputa una presenza inutile nel panorama cinematografico. Non è per questo che l’ho scritto, non ho bisogno di convincere nessuno sulla presunta bontà dei suoi film. Allora qualcuno di voi si chiederà perché l’ho fatto, perché ho sprecato il mio tempo per un attore che è stato nominato dai Razzie Awards come il peggior attore del XX secolo. Prima che riesca a rispondere, vi direte che l’ho fatto o per esser controcorrente sul cinema attuale o perché non ho niente da fare e sono in cerca dei miei 15 minuti di gloria da provocatore.
Nessuna delle due, vi sentite sempre in dovere di generare pensieri troppo complessi. L’ho fatto prima di tutto per elogiare il mio attore preferito di sempre e la sua opera più riuscita. L’altro motivo centrale è che ho voluto mettere in tavola quello che il fan medio di Stallone vede nei suoi film, che va oltre il concetto dell’aggettivo tamarro. Pazzia e coraggio sono le due caratteristiche necessarie per lanciarsi in difesa di Sly, ma è il cuore che comanda le mie mani, non la razionalità del cervello.
Se siete fan di Sylvester Stallone potreste essere d’accordo con quello che ho scritto, potreste commuovervi ripensando a tutte le volte che avete visto Rocky. Se non siete fan di Sylvester Stallone, ma volete andare oltre il numero di 2 stellette su 5 che gli assegna MyMovies, allora vi guiderò nel percorso delle emozioni che Rocky ha suscitato e che continua a suscitare in me e in tutte le persone che hanno seguito la sua storia.

Nessun cazzo è duro quanto quello della vita.” (John Giorno)

Sylvester Stallone non è uno di quegli attori eclettici di adesso, capaci di saltare da un filone all’altro con grande disinvoltura. Non è un attore incensato dalla critica, che quando ha potuto l’ha massacrato senza esitazioni. Non è portato per i grandi ruoli drammatici o per film da annoiati intellettuali sul divano. Stallone non è niente di tutto questo, ma rientra in una categoria in via d’estinzione, che potremmo paragonarla all’unico villaggio gallico, quello di Asterix e Obelix, che resiste tenacemente agli attacchi di conquista dell’impero romano. Una categoria tenuta in piedi da attori altrettanto vecchi come lui: gli attori che hanno una sola espressione e che sanno fare un solo genere di film, ripetendolo in molte forme diverse. La sua carriera cinematografica è composta da circa una quarantina di film, in cui Sly ha interpretato anche i ruoli più disparati: il giocatore di poker in Shade - Carta vincente, il pilota di Indy car in Driven, il sindacalista in F.I.S.T..
American Semi-gods
Questi sono tre esempi, perché di suoi ruoli atipici ce ne sono ancora, ma in tanti film Stallone ha rappresentato la parabola delle difficoltà che la vita ci pone quotidianamente, la forza di volontà per non soccombere di fronte a nulla, la voglia di rivincita contro una società ingiusta e corrotta. 

Questa morale è il perno della saga di Rocky, che ha proiettato Stallone all’olimpo di Hollywood e allo status di semi-dio nella metà degli anni ‘80 e l’ha ributtato a terra anni dopo, perché il tempo si riprende tutta la gloria vissuta e allora non ne resta che il ricordo.
Prima della nascita di Rocky, datata 1976, Stallone aveva all’attivo qualche comparsata non accreditata e un paio di film da protagonista, senza però emergere da quel sottobosco di attori esordienti che senza l’occasione della vita rimangono tali per tutta la loro carriera. Il suo limite era principalmente la struttura del fisico, che gli permetteva solamente di poter fare ruoli pre-fabbricati da duro.
Il fisico è il suo limite principale, ma ce ne sono altri quattro di grande importanza:

- La monoespressività del suo volto, indecifrabile. Questo quando era giovane, perché negli anni recenti il botox ha reso il volto del nostro Sly un autentico mistero. Dove sono finite le sue emozioni? Come facciamo a capire quando Sly è triste o felice? È come giocare a Cluedo, serve una buona dose di logica ed intuizione.

- Il linguaggio, poco udibile quando era un adone, ormai biascicato con l’età. Si dice che niente sia impossibile tranne l’uomo gravido (a questo innanzitutto c’ha pensato Schwarzenegger con il film Junior), ma la seconda cosa impossibile da fare nella vita è guardare un film di Stallone in lingua originale, senza sottotitoli. Non ce la farete mai, nemmeno un laureato in lingue potrebbe cavare qualcosa da quella bocca.

- La bocca storta con il labbro a virgola, dovuto a una paresi sul lato facciale sinistro quando era bambino. Questa caratteristica, unica nel suo genere, c’ha dato tanta letizia nei suoi film. Ci sono punti massimi di espressione in almeno quattro scene chiave:
1) l’espressione del dolore negli incontri di braccio di ferro in Over The Top (un film sentimentale sul braccio di ferro, solo Sly poteva farlo), soprattutto nella scena della rivincita contro John Grizzly.
2) La scena del rigore in Fuga per la vittoria, con il primo piano a rallentatore impossibile non notare lo sforzo recitativo del labbro virgolone.
Icona, punto. Anzi, virgola.
3) La scena dell’allenamento di Rocky IV mentre traina lo slittino con sopra il cognato e la legna con i legacci legati sulle spalle; anche lì un primo piano sulla faccia determinata di Sly con il labbro in prima fila.
4) Il grido «menzogna!» in Dredd - La legge sono io. Ora, riguardatevi questa scena più volte, fate il ferma immagine sul primo piano di Sly quando urla, prendete l’immagine e mettetevela nel profilo Facebook, o su Msn o su Skype. Quando l’avrete fatto, i vostri ipotetici complessi di inferiorità svaniranno in un attimo, verrete premiati solo per il coraggio di aver messo una foto di Stallone invece di quella di Johnny Depp o di Heath Ledger, ma non una foto qualunque, la foto del labbro virgolone.

- La deambulazione, l’incapacità di correre piegando le ginocchia. Questo problema si è accentuato negli anni ’90, da Demolition Man, per raggiungere l’apice nella leggendaria scena della corsa di The Expendables, in cui Stallone non solo compie una fatica immonda a correre, ma storta anche la bocca come non si vedeva dai bei tempi andati.

Nonostante questi piccoli difetti fisici, che noi irriducibili fans amiamo e difendiamo strenuamente dalle malelingue intellettuali, Stallone ha lasciato una traccia indelebile nel cinema d’azione. I suoi film l’hanno reso un pilastro di un filone che negli anni ’80 ha dominato il cinema americano e ha creato personaggi esportati in tutto il mondo, come Rambo, Axel Foley, T-800, John McClane, la coppia Riggs - Murtaugh (ce ne sono tanti altri ma mi fermo qui) e ha costruito film con trame riassumibili in una o al massimo due righe.

Stallone però non è stato e non è solo la personificazione di personaggi come Rambo o Cobra, autentiche macchine da guerra invincibili, capaci di abbattere elicotteri a suon di frecce, distruggere interi eserciti da soli, ripulire una città dal terrorismo con solo l’uso di una pistola, una bomba a mano e un mitra. Spesso ha rappresentato il personaggio positivo per eccellenza, quella sorta di vecchio padre spirituale senza cappuccio che dispensa lezioni di vita. Rocky è senza dubbio il personaggio più riuscito sul versante della positività e sulla metafora morale delle difficoltà di tutti i giorni.

Rocky Balboa - The Great Challenger

I sei film della saga di Rocky rappresentano l’ascesa e il declino di un uomo comune, di un emarginato che arrivato alle stelle con il titolo mondiale, cade sul lastrico e risale lentamente, ma è soprattutto la rappresentazione della vita di Sylvester Stallone, fra gli alti degli anni ’80 e i bassi del fine secolo e inizio del nuovo millennio.
Rocky Balboa è l’alterego artistico di Sylvester Stallone (la differenza fra i due è solo in ambito lavorativo e sentimentale), nel corso della saga le tappe che ha percorso Rocky, dalle stalle come bullo emarginato di periferia nel I film alle stelle come campione mondiale dei pesi massimi nei successivi tre film e, nel quinto, di nuovo caduto in disgrazia, rappresentano le tappe artistiche che ha vissuto Stallone, da attore che vivacchiava di comparse e di ruoli da protagonista in film di seconda categoria, a divo hollywoodiano nella metà degli anni ’80 che poteva permettersi di rifiutare ruoli che hanno poi fatto la fortuna di altri suoi colleghi, fino al progressivo declino degli anni ’90 e la presunta fine nel nuovo millennio.

Tutto però ha un suo equilibrio, perché una saga intera non può reggersi su un solo personaggio, per quanto poetico possa essere. Nella nostra vita orbitano tante persone, tanti affetti ed è attraverso questi che nascono i ricordi, belli o brutti che siano. Stallone non è uno sprovveduto, sapeva che da solo non sarebbe mai riuscito a far decollare una storia destinata a durare anni e per questo si è circondato di straordinari attori, che hanno calzato alla perfezione i personaggi secondari della saga. Tre di questi hanno un’importanza centrale:

1) Adriana (Talia Shire): compagna di vita di Rocky e sorella di Paulie. Nel primo film è una ragazza ancora più emarginata di Rocky, rinchiusa nel negozio di animali dove lavora con i suoi amici canarini e il cane Birillo a farle compagnia. La pessima montatura dei suoi occhiali nasconde i suoi occhi espressivi, devastanti, quegli occhi che per vederli ti serve la preparazione psicologica, ma ci rimani sotto lo stesso; la sua grande timidezza si nasconde una ragazza intelligente ma insicura perché vittima del fratello Paulie.
Un fragile fiore che si veste da vecchia perché non si sente attraente e non ha una vita sociale per restare accanto al fratello, ma il grande amore per Rocky la cambierà progressivamente, facendo emergere la sua personalità e la forza di cui Rocky ha bisogno. Citazione chiave: «Ogni colpo che tu hai subito, io l’ho subito insieme a te».
Godzilla VS. King Kong
2) Paulie (Burt Young): è più di un migliore amico per Rocky, è un fratello. Perennemente attaccato alla bottiglia, lavora inizialmente nel deposito carni, poi rimane disoccupato e inizia a seguire Rocky negli allenamenti. Le sue emozioni sono un vortice incontrollabile, passano dall’estremità del bene all’estremità del male. Da un lato mostra una grande umanità: in più di un incontro bacia fraternamente il suo amico e lo sostiene all’angolo del ring, ma dall’altro è capace di furenti attacchi d’ira, con tentate aggressioni sempre ai danni di Rocky. Nonostante tutto c’è sempre ed è questo l’importante. Citazione chiave: «Se dovessi cambiar pelle ed entrare in quella di un altro…hai un gran cuore Rocky!»

3) Mickey (Burgess Meredith): lo ammetto, è il mio personaggio preferito. Primo e indimenticabile manager di Rocky, un vecchio ex pugile a pezzi che gestisce una palestra disastrata a Philadelphia. Lascia tutto per diventare il manager di Rocky e allenarlo per l’incontro con il campione dei pesi massimi. È un burbero dal cuore d’oro, uno stratega di esperienza che dispensa grandi consigli, il motivatore che tutti noi vorremmo in ogni momento topico della nostra vita, l’angelo custode che ti urla «ancora un altro round, non ho sentito la campana!». Il rapporto che ha con Rocky diventa quello di un manager/padre severo ma amorevole, che allenerà e sosterrà il suo pupillo fino alla fine. Purtroppo ci lascerà troppo presto, ma tornerà sottoforma di flashback malinconico. Citazione chiave: «Devi mangiare saette e cacare fulmini!»

I cambiamenti di vita di Stallone, da quando ha iniziato la sua ascesa, fino all’apice, riflettono quelli del suo personaggio. Rocky caratterialmente non è sempre stato il tontolone bonario di cui ci siamo innamorati nei primi due capitoli: le vittorie e il titolo di campione hanno consolidato le sue certezze, lo hanno reso spavaldo nell’atteggiamento e nel look: nel terzo (1982) e quarto film (1985) è tirato a lucido, sempre ben vestito, rispetto ai vestiti da mercato e al cappello che aveva nei primi due film.
Adriana, da bellezza nascosta nel primo film, è diventata una bellona raffinata nel terzo e nel quarto; addirittura Paulie è sembrato una persona normale in diverse occasioni. L’emblema della sua trasformazione è nel terzo capitolo del film, quando di notte urla ai barboni in strada di far silenzio, perché disturbano il suo sonno. E le colonne sonore? Nei primi due capitoli sono sobrie e orchestrali, ma con la trasformazione di Rocky si trasformano anche loro e allora pompa a manetta l’hard rock dei Survivor, di Robert Tepper e di tante altre meteore cotonate degli anni ’80.
Soltanto il quinto capitolo (1990) riporterà Rocky, ridotto al lastrico, alla sua precedente dimensione. Il bullo di periferia ritorna a Philadelphia, riprende i suoi vecchi vestiti, diventa titolare della palestra di Mickey, sotto un tappeto di malinconia che pervade in tutto il film e che invecchia Stallone di 10 anni.

Rocky Balboa (2006)

Questa è una doverosa premessa iniziale per arrivare al film a cui voglio dare attenzione: Rocky Balboa, l’ultimo episodio della saga.
Dopo Rocky V il buon Sly aveva categoricamente escluso la possibilità di un ulteriore sequel della saga, convinto che il suo personaggio avesse chiuso un cerchio. Ma sono cambiate molte cose in 16 anni, il periodo di tempo fra Rocky V e Rocky Balboa. Innanzitutto il declino dei film d’azione e l’ascesa dei thriller e della commedia. Lo stesso Stallone si è cimentato in due commedie carine ma deludenti dal punto di vista economico: Oscar, un fidanzato per due figlie e Fermati o mamma spara!. I suoi anni ’90 sono formati da buoni film, come Demolition Man, Cliffhanger, Dredd - La legge sono io ma il declino di Stallone come attore è progressivo e inesorabile, come la fine del XX secolo.

Gli anni ’00 sono il punto più basso: Stallone lavora poco e in film non all’altezza, la sua popolarità è in ribasso e i produttori non lo vogliono più, convinti che abbia ormai dato il suo tempo. Sly si deprime, rimane inattivo per 3 anni, dal 2003 fino al 2006, conduce saltuariamente il reality The Contender sulla boxe e per rimanere giovane si riempie di botox in faccia, riducendo un’espressività facciale già bassa di suo.
Dentro di sé però sente ancora di poter sparare le sue cartucce di non esser finito come gli fanno credere. Ma come rilanciare può rilanciare la propria immagine? La risposta la trova in nuovo capitolo di Rocky.
Una volta deciso, Stallone si mette all’opera. Un one man show del cinema: scrive la sceneggiatura, si carica sulle spalle la responsabilità di produrre e di dirigere il film, rischiando in prima persona la conseguenza di un possibile fallimento.
Se avesse rischiato negli anni ’80, non avrebbe riscontrato nessun tipo di problema, ma siamo nel 2006 e questa domanda serve per dare al film un valore ancora più alto: chi fra i grandi vecchi  nel nuovo millennio avrebbe rischiato di mettere in tavola un ennesimo sequel, mettendo mano anche a una parte dei finanziamenti? Nessuno. In quell’anno alcuni dei nostri eroi degli anni ’80 avevano già cambiato rotta: Schwarzenegger si è rifugiato nel suo posto da governatore della California, inadatto a fare altri ruoli che non siano quelli dello spaccaossa, perché una volta che l’hai visto incinto nel film Junior, cambia ogni tua prospettiva sull’uomo che ha fatto Conan il barbaro. Bruce Willis, il più flessibile di tutti, ha saltellato in continuazione dai film drammatici ai thriller sentimentali, polizieschi sul filo dell’ironia e fumetti riprodotti sul grande schermo, con risultati alterni. Steven Seagal, Dolph Lundgren e Jean Claude Van Damme hanno continuato con le sparatorie, le esplosioni e i cazzotti, ma sono finiti ancora peggio, recitando (ahahahahaha) nei film home video, ovvero quei film che vengono trasmessi direttamente in tv.
Quando viene annunciato un sesto capitolo di Rocky, le quotazioni di Sly ricominciano a salire, si crea l’attesa per il film (io stesso l’ho atteso come la resurrezione di Cristo) e l’industria cinematografica decide l’azzardo e lascia carta bianca a Stallone.

Come hai detto?!
Rocky Balboa esce nell’inverno 2006. Io mi sono proiettato subito per andarlo a vedere, mi sarei venduto anche un rene per rivedere un nuovo capitolo di un personaggio che mi ha cresciuto e le mie aspettative non sono rimaste deluse. Riguardo la trama, non è che un adattamento della trama del primo film, ma 30 anni dopo: lo “sfidante” è sempre Rocky, il campione del mondo Mason Dixon è veloce, imbattuto e soprattutto è nero come Apollo Creed; cambia la protagonista femminile, che non è più Adriana, deceduta come si dice nel film, ma è la piccola Mary, la ragazzina che insultò Rocky nel primo film, ormai divenuta donna e madre di un figlio. Chiariamo, Mary non è assolutamente la sostituta di Adriana, rappresenta solo un’amica e un sostegno per Rocky, ma ha in comune con Adriana la stessa emarginazione, la scarsa autostima e la sua stessa timidezza. Cambia la situazione familiare, perché in questo film il figlio di Rocky è ormai adulto e lavora come impiegato di non si sa che cosa, ma ha poca importanza. Cambia anche il pretesto che porterà al combattimento, una simulazione al computer fra un campione del passato, Rocky e il campione del presente Mason Dixon, che vedrà la vittoria di Rocky. Da lì scoppia un caso mediatico e poi si sa come vanno a finire le cose.

Questo è tutto quello che dovete sapere a livello di trama, perché in Rocky Balboa non è importante né che lavoro faccia Rocky (va bene, ha aperto un ristorante di nome “Adrian” contenti?) né come arriva all’incontro e se lo vince; fanno parte di una base strutturale che permette al personaggio di esprimere la sua malinconia per i tempi andati, la crisi di mezza età, l’insoddisfazione per un lavoro che gli piace ma che in fondo non è il suo lavoro. In questo film c’è il Rocky di cui ci siamo innamorati:
- Il Rocky generoso che appena si alza la mattina sfama Tarta e Ruga, le sue tartarughe, e i canarini nella sua gabbietta.
- Il Rocky un po’ suonato che ogni sera ai suoi clienti racconta sempre dei suoi incontri e lo racconta 1, 10, 100, 1000 volte perché quei momenti gli ricordano quando dentro di sé aveva una forza indomabile.
- Il Rocky padre spirituale che dispensa lezioni di vita al figlio, che lo accusa di metterlo in ombra col cognome («né io, né tu, nessuno può colpire duro come fa la vita. Non è importante quanto colpisci forte, ma quanto incassi e quanto sai resistere ai colpi e se cadi hai la forza di rialzarti, così sei un vincente!»).
- Il Rocky paziente che sopporta le sbarellate del cognato Paulie e ogni sera dà da mangiare a Spider Rico (ve lo ricordate? Il primo avversario in assoluto che si vede nelle scene iniziali di Rocky!).
- Il Rocky “atleta” che beve le uova la mattina, si allena duramente per aumentare la potenza dei pugni, che per un’ultima volta sale la scalinata, sotto le note del leggendario tema “Gonna Fly Now” di Bill Conti.
- Il Rocky con un gran cuore sul ring, che resiste ai colpi dello sbarbato e che le dà con tutta la forza che ha in corpo.

Questi 102 minuti di malinconia sono tutto questo e altro ancora, riflettono sempre la vita di Stallone, la sua volontà di sentirsi vivo e di non darsi per spacciato. A 60 anni sia Rocky che Sly sono uomini che hanno smesso di ascoltare i giudizi critici di chi li stronca con grande facilità. Uomini che hanno ancora dentro di sé una bestia di cui vogliono liberarsi per non aver rimpianti.

Stallone ricomincia da Rocky Balboa, che non è un capolavoro come il primo, ma tanto basta per riconquistare il cuore di tutti, perché costruire scene malinconiche sui bei tempi andati con la tecnica del flashback è la sua specialità; perché in quel pugile vediamo noi stessi, in cerca di realizzare un sogno, di avere una possibilità e di giocarcela al massimo, come ha sempre fatto Rocky. Che cosa voleva dirci Stallone con questi sei film? Che la cosa più difficile da accettare per un uomo è quella di non aver realizzato i propri sogni, perché la vita va inesorabilmente avanti e ci trascina con lei, volenti o nolenti. Un momento sei felice, un altro ancora sei a terra, ma l’importante è resistere e rialzarsi sempre quando si cade.
 
Rocky Balboa ha rilanciato l’immagine di Stallone, che ha ripreso a lavorare a pieno ritmo, realizzando il quarto capitolo di Rambo, John Rambo, e il film The Expendables, l’unico film nel 2011 che potrebbe esser stato fatto nel 1985. Tuttavia Sly in questo decennio è entrato al suo ultimo round, sta sparando le sue ultime cartucce di personaggio positivo che prende la rivincita col mondo. A 65 anni si conserva ancora bene fisicamente ma non potrà andare avanti a lungo, anzi già in John Rambo e in The Expendables è un personaggio fuori tempo, ridicolo anche per certi aspetti, ma lui ci crede in quello che fa, va avanti per amore della sua arte e per amore di chi ancora lo segue, fregandosene delle critiche. 

Oltre il mito, un semplice uomo

Il sesto capitolo di Rocky ha incassato 85 milioni di dollari in tutto il mondo. La saga complessivamente ha incassato circa un miliardo di dollari. Cifre imponenti, ma non solo queste che ne determinano la grandezza e il successo che ha avuto fra il pubblico; Rocky è conosciuto ovunque, la statua di bronzo preparata per il terzo film è stata per anni in cima ai famosi scalini del “Museum Of Art” di Philadelphia, quegli scalini che tanta gente percorre per sentirsi un po’ come Rocky. Addirittura il personaggio è stato inserito nella Hall of fame del pugilato, per il contributo che ha dato a questo sport.

Tutta questa manifestazione di affetto fa sorgere spontaneamente una domanda: qual è il fascino di Rocky? Perché la gente si identifica in lui e non in qualche altro duro hollywoodiano? Perché Rocky è un uomo prima ancora di essere un campione, con le sue debolezze e con le sue paure. È un uomo sul ring, quando scatena la violenza che alberga dentro di lui, ma ha paura di quello che potrebbe succedergli, di non poter più svegliarsi accanto alla donna che ama, di non poter più rivedere il figlio amato; per questo motivo prega all’angolo prima di combattere e superare ancora una volta i suoi limiti.
La gente ama il suo carattere espansivo e tontolone, il corteggiamento nei confronti di Adriana con delle battute bruttissime tutti i giorni al negozio di animali, dove lavora la ragazza; il discorso che fa alla piccola Mary sul fatto che deve essere una ragazza perbene e non frequentare cattive compagnie, la consapevolezza che è un debuttante e non può vincere contro il campione dei pesi massimi, ma vuole resistere e dimostrare a se stesso di non essere un fallimento, il coraggio e la determinazione che ci mette quando sale sul ring, anche se non è sicuro di farcela.
La vittoria morale, la gloria per aver perso a testa alta, la necessità di provarci sempre per non aver rimpianti, spesso sembrano parole buttate nel vento per consolare qualcuno, ma nei film di Rocky assumono lo stesso valore della vittoria di un titolo mondiale.

Ma un grande protagonista è tale solo se ha dei grandi antagonisti a cui opporsi e in questo gli avversari di Rocky sono impeccabili. In ogni film il punto centrale è lo svantaggio di Rocky davanti ai suoi avversari, sempre più forti, più agguerriti e più violenti.
Apollo Creed (I-II film), Clubber Lang (III), Ivan Drago (IV), Tommy Gunn (V) e Mason Dixon (Rocky Balboa) sono avversari tecnicamente più forti e devastanti di Rocky, ma la loro qualità più grande è quella di tirare fuori al protagonista delle caratteristiche che non pensava nemmeno di avere: quella forza e quel coraggio che lo fanno andare oltre alle sue reali capacità, che gli permettono di restare in piedi e di incassare colpi su colpi. Gli incontri dei film di Rocky sono privi di qualsiasi tattica e di studio dell’avversario, sono massacri che logorano anche a livello psicologico, rappresentano la metafora della lotta continua contro le difficoltà quotidiane di tutti i giorni, la resistenza che bisogna avere per uscirne con meno ossa rotte possibili, la forza di volontà per superare un ostacolo e andare avanti, preparandosene a uno nuovo e ancora più difficile.
Non è retorica, è solo una semplice metafora morale della vita. Per questo motivo non si può archiviare Rocky come un semplice film sportivo, ma va inquadrato in una tavolozza dai tanti colori, dal rosso della storia d’amore fra Rocky e Adriana al nero di quando il campione è in difficoltà e cerca dentro di sé la forza di rialzarsi.

Non so ballare. E allora?
Gente, questo è Sylvester Stallone: non sa ballare, non sa cantare, non sa recitare, sa soltanto essere se stesso in un mondo che sembra non aver più bisogno di lui, ma che batte le mani quando cala il sipario. Rappresenta l’anti-attore per eccellenza perché è reale, quell’anti-attore che sta in ognuno di noi quando non si è capaci di mentire agli altri e a se stessi e vederlo sul grande schermo fa capire che l’arte non è mai stata un’élite e che tutti con una possibilità possono esprimere sé stessi e le proprie emozioni. È un Artista con l’A maiuscola, perché si è artisti non soltanto quando si realizzano opere di grande valore, ma anche quando si compiono scivoloni pazzeschi. Il bello e il brutto fanno parte di un grande processo di maturità artistica e umana, in cui aprire il proprio cuore ogni giorno da un lato ti rende più vulnerabile alle ferite, ma dall’altro rinforza te stesso e lui è uno che non ha mai rinnegato niente di quello che ha fatto.
Tutti con Stallone si sentono critici cinematografici: da chi si è fatto due palle così con i film di registi visionari e non lo ammetterà mai, perché se non guardi quei film ti bollano come quello che di cinema non ci capisce un cazzo, a chi effettivamente non ha mai visto un film di Stallone o non l’ha mai visto con un occhio diverso che non sia quello del «vabbè è una tamarrata». Però sono proprio queste critiche che rendono Stallone, Willis, Schwarzenegger dei personaggi indelebili, perché nel bene o nel male ci sarà sempre qualcuno che ne parlerà e i film d’azione riassunti in una riga sono come il gusto del tempo andato, rendono tutti amici.

Parametro reale di bellezza assoluta
Tutti dobbiamo qualcosa a Sly: chi è cresciuto con i suoi film e sa cogliere la poesia dei suoi difetti fisici e dei suoi monologhi cult e trova sempre un motivo per crederci, chi ha come parametro di bellezza assoluta Marie Antoinette di Sofia Coppola e può sentirsi critico, ritenendolo merda liquida (per carità, i gusti personali sono soggettivi) e chi conosce solo la scena di Rocky in cui urla «ADRIAAAAAANAAAAAA!» e gli basta quella perché ritiene i film di Stallone tempo perso.
Non abbiamo certamente bisogno di Rocky, di Rambo (il primo), di Over The Top per sapere che la vita è dura e ci mette davanti ostacoli continui e Stallone non è certo un maestro di vita esemplare, ma quando dimenticheremo che dentro di noi abbiamo una forza indomabile, potremo sentire la voce di Mickey che ci dice «Non ti può battere, perché tu sei uno schiacciasassi!» E questo, ancora una volta, lo dobbiamo alla semplicità e al cuore di Sly.

Fin quando Stallone riuscirà a correre senza piegare le ginocchia, stortare la bocca col labbro a virgola e fare battute ironiche come quella al pelato Steve Austin: «Chi ti manda?» «Il tuo parrucchiere!» lo guarderò come ho sempre fatto, perché al cinema vale una sola regola. Esagerare.