martedì 6 settembre 2011

Più Rambo, meno Provolone: "Demolition Man" – 1993


Sly cubetto di ghiaccio in un cocktail? Il sogno di molti. Io venderei un parente.

Sogni eroici a parte (la “t” l’ho dimenticata apposta), si è di fronte al filmone maffo che quando lo vedi da bimbo sbrocchi perché sei preso bene e quando lo riguardi da grande sbrocchi perché è veramente maffo, ma sei preso bene lo stesso e forse più.

Sei bambino e lo sei a metà anni ’90; vedi un film ambientato in un futuro di chierichetti e pretazzi stile Don Giussani; vedi che ci sono due tizi gonfi che in mezzo allo sdegno NeoTeoCon si prendono a sberle e ti dici: «Paura! Nel 2030 Wesley Snipes avrà una capigliatura che per rimetterlo in sesto bisognerà scongelare anche Rolando Elisei il parrucchiere delle dive!».

Quando sei quasi adulto, o almeno quando fai finta di esserlo (perché godi ancora più che da bambino nel vedere Silvestro Gardenzio col suo labbro a virgola), assumi uno sguardo un filo più critico.

Non so cosa avesse Sly in quel periodo, forse una sorta di sindrome autoironica da anima della festa (Fermati, o mamma spara o l’inusitato Snap Provolone di Oscar – Un fidanzato per due figlie, del ’92 e del ‘91): si trastulla a fare la macchietta di sé stesso e dei suoi amici grossi - Schwarzie bello anima e cervello che nel film è diventato presidente USA provocando lo sconcerto del suo amico virgolone - ma con risultati talvolta apprezzabili. Conchigliette a parte, l’idea della sartina è un esempio niente male: vuoi mettere?! Potersi bullare di avere un cardigan fatto all’uncinetto da Sly… Io venderei un parente.

Questo andamento “poca azione/tanto umorismo che dopo un po’ stona” fa diventare il film un tantino sifulo. È un meccanismo che tira se il protagonista ha da massacrare tanti grugnoni pazzi vestiti di pneumatici, e ogni tanto, solo ogni tanto, scatta l’intermezzo o la battutina: al trentesimo sketch consecutivo che mostra chiaramente che i lapsus di Sandra Bullock vogliono dire «lei ci ha voglia del pipo dello Sly, è stufa di videogioconi di realtà virtuale che non hanno neppure un turgido joystick di 20 centimetri», uno apprezza Sandra Bullock ma se non vede mezzo capezzolo o milioni di risse comincia ad indispettirsi.
Però sono simpatico

Poi: posto che se si guarda quanto di fascista o di filoamericano c’è nei film d’azione, si comincia oggi e si finisce quando nel mondo si smetterà di sbriciolare mangiando i cracker. Non voglio notare il fatto che è un film che si basa sull’idea della necessità della violenza in una qualsivoglia società (che a voler essere cinici non è un discorso neppure troppo campato per aria, per quanto difficile da mandare giù). Non voglio notare che il cattivone che porta distruzione e terrore a destra e a manca in un mondo di soli bianchi bianchissimi è immancabilmente afroamericano (e ispirato quasi sicuramente a Dennis Rodman, personaggio cult che tanto scalpore destava nei NeoTeoCon di allora – idolo delle folle). Non voglio notare che i reietti della società dipinta dagli autori siano per metà ispanici/zingari e somiglino fin troppo ai comunisti robbosi lerci dannati hippy fumamargherite che vogliono praticare l’amore libero in barba a Don Giussani, e infatti si sentono dire alla fine del film «dovrete ripulirvi un po’». Non voglio notare l’involontaria congruenza di un mondo senza violenza con gli avvenimenti di più o meno recente attualità dell’epoca (un paese può permettersi un regime di assoluta non violenza solo se non ha nemici da cui difendersi al suo esterno): il Muro di Berlino è crollato tre anni e mezzo prima dell’uscita di Demolition Man, e Simon Phoenix è chiaramente molto più pericoloso di Boris Eltsin.

Queste cose sono (quasi) assodate e io mi diverto a vaneggiare in facili dietrologie (e parlo senza avere letto il fumetto, quindi potrei avere scritto una gragnuola di cagate). Ma il problema è un altro, ed è grosso: unendo i due punti che ho analizzato, è chiaro che gli sceneggiatori hanno optato per una visione disneyana della cosa che vuole giustificare in maniera gigiona quanto descritto poche righe sopra. Insomma, t’indorano la supposta, il che fa un po’ rotear gli zebedei. Ma cazzo, viene scongelato il supercriminale pluriomicida, tu fai liberare uno che lo chiamano Demolition Man e vuoi che questi due in un mondo di fighetti finti pacifisti che non sanno nemmeno farsi le seghe facciano a gara di battutine? Falli menare di santa ragione in nome di un sano machismo, fagli fare gara a chi ce l'ha più lungo, che ne so, un bel contest di rutti, mettici uno scienziato che costruisce supercannonazzi laser, inventati qualcosa di rozzo, infilaci dentro i più grandi cliché di genere, insomma fai che i personaggi del tuo film siano in linea con i messaggi che mandi e con la storia che devi trattare, così magari sei meno ipocrita e il film ti riesce meglio. Più Rambo, meno Provolone.
Ti vogliamo così

BRAMBILLA MARCO, il Ricky Cunningham della Bovisasca, che poi sarebbe il regista, aveva una sceneggiatura banalotta ma in quanto tale sfruttabile ed elastica e non ne ha sviluppato tutto il potenziale; senza il Gardenzio  che tira la carretta facendo il simpa e menando e poi menando e facendo il simpa sarebbe stato tutto molto peggio, un mortorio quasi privo delle trovate giuste. Il ritmo della narrazione è da latte alle ginocchia. E non che manchino gli esempi di action con aspirazioni umoristiche: prendi un Tango e Cash a caso, che è stato fatto con la metà dei soldi ed è divertente il doppio. Lì hai i due grossi della situazione che si fanno le battutine che non fanno ridere, ma sono loro a dirle, e con ritmo serrato (quasi) da commedia (so che è un azzardo scrivere questa cosa ma mi espongo), quindi ti escono fuori delle cose divertenti; qui hai Sandra Bullock che canta i jingle delle pubblicità. Lì hai loro che combattono contro un esercito di carcerati, ci sono voli, inseguimenti e ciccioni che finiscono fritti, e c’è un finale assolutamente improbabile e scontatissimo, quindi c’è l’equilibrio di cui hanno bisogno questi film. Qui, ambientazione a parte, che per l’epoca ci sta eccome, si poteva fare molto, molto di più sotto tanti punti di vista.

Ma al cuor non si comanda, e a parte tutto io a Sly gli voglio bene. In questi casi il cuore lotta contro i pensieri: le tutine aderenti, il basco da soldatone cattivo, le grida e le smorfie di dolore, i faccioni ciottoloni di Silvestro anima della festa - «non è mai bello uccidere!» poi ci pensa su e corregge il tiro «Beh, magari a volte sì…» - sono un piacere intellettuale proprio perché son quelle cose che in un film serio non accetteresti, ma stavolta non fanno passare in secondo piano tutto l’umorismo gratis non bilanciato da “Cobra in gita al supermarket: Poliziotto Glaciale Assassino anni ‘80”.
Ti vogliamo così. E io voglio quegli occhiali. 

Se ci fossero meno tempi morti Demolition Man sarebbe più godibile, e meno idiota. Io a Sly gli voglio bene, ma qui ha toppato, e di brutto. Questo film è una cagata niente male. Come direbbe l’Arciduca nel pieno del suo aristocratico contegno: «Sly ti voglio bene ma se fai cazzate t’inculo con la sabbia». 

Nessun commento:

Posta un commento