martedì 6 settembre 2011

Un ruvido film psicologico: "Driven" - 2001


900 milioni di spettatori. 250 miglia orarie. 20 gare. Un solo campione.     

…sticazzi. Pomposo et magno. Mi aspetto fior di sottotesti e colpi di scena. Li troverò, ne sono certo.

- Seguono brevissimi cenni per introdurre contesto e personaggi, e dare l’idea del livello della sceneggiatura.-

Oggi. A metà tra Nascar e Formula 1. Forse solo Nascar ma ne so ben poco di quel mondo. Wikipedia dice che si chiama Formula CART. Comunque. Il campionato è iniziato da poco, ci sono già due contendenti per il titolo:

il Campione Abituato A Vincere: è tedesco e ha la tuta rossa (a chi somiglia?), quando corre ci ha l’occhio della tigre, ma nasconde una certa dose di umanità. Ha un nome che è tutto un programma, ci chiamerei mio figlio in quel modo: Beau Brandeburg (d’altronde è tedesco. Domanda esi(sten)ziale: ma perché se sei il tedesco di un film devi per forza avere un nome rettangolare tipo Brandeburg, Schnauzer, Wienerschnitzel, Weissbier?). È veramente teutonico: molla quella gran gnagna di Estella Warren (il Cappuccetto Rosso di Chanel – non aggiungo altro) perché lo distrae. Voto 10: eroe stoico.

Il Giovane E Talentuoso Protagonista, promettente e frustrato: non riesce ad esprimere il suo potenziale. È un tontolone dal cuore puro che non sopporta le pressioni del fratello agente. Però ha talento, sennò col carisma da Ciccio di Nonna Papera che si ritrova non potrebbe essere il protagonista. Voto 6: a dispetto della faccia che si porta appresso, ci crede. È aiutato da:  

il Team Manager Che Sa Come Va Il Mondo Delle Corse: sta sulla sedia a rotelle (come Frank Williams), è un avvoltoio scafatissimo, un nonno che sa il cazzo suo, gnucco e cinico che manco Andreotti. Voto 8: al baffetto gnucco e cinico di Burt Reynolds; al resto, cioè Burt Reynolds, 5. Per far sbocciare la sua giovane promessa in cui non crede – d’altronde è gnucco e cinico – il nonnetto chiama:   

il Grande Sconfitto Che Ha L’Ultima Chance: il veterano  che una volta se la comandava ma ha fallito perché maledetto e dissoluto, e che adesso ha un’ultima opportunità; purifica sé stesso da ogni peccato facendo da balia al pirla coi complessi che però è bravo, raggiungendo così la redenzione eterna. È evidente che è anche Un Grosso Che Ne Sa A Pacchi: infatti è Tanto, Joe Tanto. Voto 10: inelegante per scelta.

"Un ruvido film psicologico"
Pare che in sede di scrittura del film ci sia stato un lungo dibattito, con gli autori che portavano ampie relazioni dal titolo: “La necessità del ruolo della donna come metronomo di umori e progressi nei protagonisti dei film – Rotture di balle tra passato e presente”. Voci di corridoio vogliono che tale dibattito abbia avuto una durata prossima ai cinque secondi netti, e che sia andato più o meno così: «Sly ma non possiamo fare nulla per riempire un po’ la trama e dare altre connotazioni ai personaggi?» «No, è un ruvido film psicologico.» . Forti pressioni sono state esercitate quindi per far capire al noto protagonista/sceneggiatore/produttore l’importanza di infilarci qualche donzella/vacca, incredibilmente inutile per lo svolgimento psicanalitico della trama ma fondamentale perché il potenziale pubblico di questo film è del novantanovevirgolanoveperiodico% composto da uomini. Il noto “produttore/ecc…” ha così replicato: «Vabbè se insistete possiamo metterci un paio di pollastre pseudocarismatiche che rugano la minchia ai piloti. La bella del film la facciamo finta brava e un bel po’ stronza: sta col campione che all’inizio è quello figo, poi la fa annusare al regazzino e poi lo molla, perché il Brandeburg, diavolo d’un tedesco, ci ha ripensato. Lei va solo dove tira il vento, sta con chi vince ma lo fa per il bene del protagonista: tutti hanno qualcosa da insegnare, questa è una storia di morte e resurrezione. Poi, per quanto riguarda il Grande Sconfitto (che poi è quello che dà più lezioni di tutti, che poi lo interpreto io), avrà una Ex Maledetta Che Lo Ha Fatto Soffrire. Lei adesso sta con il suo alter ego giovane, Memo, li sbattiamo lì a gratis come monito degli errori commessi in passato, e per dimostrarlo chiamiamo lui come un post it; il buon diavolo di Memo ha stima per Il Grande Sconfitto perché lui (cioè io) è Un Grosso Che Ne Sa A Pacchi (d’altronde, ribadisco e risottolineo, lo interpreto io). Il Grande Sconfitto si metterà poi con una Cinquantenne Intellettuale Ancora Piacente (si badi, non il Milfone Da Olimpiadi, solo piacente) che per sensibilità e fascino degli anni rappresenta chiaramente una pensione spirituale tranquilla e confortevole: da Grande Sconfitto diventerà definitivamente Un Grosso Che Ne Sa A Pacchi E Che A Prescindere Ha Trovato La Sua Dimensione. Ma, a parte questo, non si vedrà nessun capezzolo, è un film psicologico.».

Quindi mezzo bikini in tutto il film e salvati solo i cavoli, non le capre. Scelta che a ripensare al film sembra insospettabilmente giusta.
"Film a capezzolo zero ma siam contenti lo stesso."

Nonostante le premesse, ovvero una sceneggiatura deboluccia andante che dopo venti minuti sai già dove andrà a parare con Sly deus ex machina che risolve ogni problema con un sorriso e aiuta a trovare l’essenza di sé stessi (tutti imparano qualcosa in questo ruvido film psicologico. Voto 4: disneyano…), Driven è un film menopeggio. E sai perché? Perché arriva Renny Harlin e ti dice: «I miei film costano un botto e incassano la metà, ma sono fatti bene. Guarda cosa ti cavo fuori dal quasi nulla» e trac! rende Driven un film quantomeno accettabile: è tutto scontato, succede relativamente poco ma cinematograficamente regge tutto quanto,  l’attenzione non cala mai, ci sono il ritmo e l’equilibrio giusti; in più, le gare in macchina sono rese bene e ci sono dei cazzo di incidenti con matti in casco e pigiamino ignifugo che volano e si incendiano. E poi c’è un’atmosfera del tutto particolare: quello narrato è un mondo di stereotipi, e le facce degli attori son tutte in pura gomma Stabilo, tutti bianchi e puliti, un labile misto tra il lindo e il laido. Non è un bel vedere, ma se si aggiunge questo alle ambientazioni e alla regia viene fuori che nel complesso Driven ha un’unità stilistica coerente. Non affascinante, né bella. Coerente. E rido. Mentre scrivo mi rendo conto che è la cosa più dissonante che si possa pensare a vedere un film del genere e mi sembra una cazzata gigante (il tutto ha ottime possibilità di esserlo). A parlare di unità stilistica in Driven sento di fare il sommelier bevendo il Tavernello, e scopro che stavolta non è poi così male. E bravo Renny.

Nessun commento:

Posta un commento